venerdì 23 settembre 2011

Elementi di arte retorica ovvero la resurrezione di Robespierre

Solenne, bonario, ma a tratti apocalittico come i profeti del vecchio testamente, l’on. Paniz, capo gruppo PDL in giunta per le autorizzazioni a procedere, giusto ieri s’è prodotto in artifici di alta retorica, degna di un Demostene, d’un Lisia, d’un Cicerone.
Paniz signoreggia nelle brune aule tappezate di rosso (Dio Santo quanto kitsch) del palazzo del potere di Roma; Paniz dispensa perle di saggezza; Paniz diffonde e difende il verbo arcoriano nella valle tenebrosa okkupata dagli adepti al credo del grande Dio dalla Toga Rossa.
La verve gerontologica di Paniz annichilisce. Egli troneggia, incute speranza e timore. Il primo e l’ultimo.
On. Paniz
Leggiamolo.
On. Paniz: Non sarà certo offrendo un altro sacrificio umano che placheremo l’ira anticasta del popolo (plebe).
Il sacrificando sarebbe l’on Milanese, graziato ieri dalla casta. Forse a Paniz piacerebbe sapere che non c’è ira anticasta nella popolazione - popolo lo dica a sua sorella, e smetta i toni da Primo Stato ante rivoluzione) ma un ben più radicato odio nei confronti della casta. Noi, cittadini italiani, vecchi e nuovi, in patria come all’estero, noi odiamo la casta.
I politici italiani sono il male, la causa prima dei problemi di questo paese. Pidocchi, sanguisughe, arrivisti, buco nero e cloaca massima della nostra società. Questo è il pensiero ricorrente nelle menti degli italiani. Tu di’ politico e loro ti sciorinano epiteti talmente coloriti da far impallidere uno mungitore di pecora di Ulan Bator.

On Paniz (viso bonario, voce lisergica): Da due mesi il nostro collega onorevole Papa langue nelle carceri in attesa di giudizio. Bene, giusto. In Italia vi sono 70.000 detenuti nella carceri e il 40% è in attesa di giudizio. Come l’on. Papa, quindi. La legge è uguale per tutti, no?

On. Pepe
Poi viene gente come l’on Pepe - personaggio non reale, ma parto fantasy di un epigono tolkeniano, un Grima Vermilinguo della Quinta Era (?). Leggiamolo: Qui non stiamo difendendo una persona, bensì l’istituzione. La vita di un uomo è breve; le istituzioni vivono nell’eternità! Una frase degna del Gibson di Braveheart. Senza senso, certo.
Subito dopo, però, l’on Paniz ci regala un’altra perla di saggezza, un avvertimento contro il potere rosso del tribunale di Barad-dûr (direttamente trasportato nella penisola dalla Terra di Mordor). L’ondata giustizialista che ha sommerso il povero Papa reclama ora un’altra vittima. Non sembra Demostene in una delle sue filippiche? Ha anche un po’ del Cicerone, vero?
Leggiamo l’ultima, la più bella. Sublime, colma di frustrazione, di paura (?): L’altra volta abbiamo ceduto alla piazza. Ma la piazza ora chiede altre prede, chiederà sempre più prede.
Che dire? Nulla! Dicono tutto loro, immaginano tutto loro.
 Ma se domani, mi auguro non molto lontano, magari in un bel giorno di primavera, sorgesse un Robespierre novello e nostrano, on. Paniz, cosa direbbe, allora?

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