3
Pirlasconi fuggiva.
Correva, correva, correva.
Attraversò in un baleno il parco della clinica - dove
era stato ricoverato in stato di shok dopo l’incidente con il cane di tre
giorni prima - evitando sedie a rotelle occupate da copie di Lamberto Brossi e
spinte da copie di Rosangelino Malfano; correva zigzagando, saltando ostacoli,
schivando infermiere agghindate come la Brabambilla.
Giunto al muro che divideva il terreno della
clinica dalla strada statale, Pirlasconi si fermò: era alto, cazzo!
Due metri e mezzo buoni, forse tre. Non c’era
nulla per issarsi oltre il muro; niente sul quale salire sopra e provare ad
arrampicarsi oltre.
Cadde.
Prostrato, annichilito, si lasciò andare contro la
parte interna del muro. Scivolò in basso, le spalle ben aderenti alla struttura
di cemento.
Pfoff, fu il rumore che produsse il Culone-Classe-Nimitz,
quando tocco il manto d’erba sotto di lui.
Pirlasconi chiuse gli occhi e si appisolò.
Avrebbe forse dormito per ore se il proprio odore
non lo avesse ridestato quasi subito.
« Puzzo », disse a voce alta. « Puzzo come una
cesta di Mawashi sporchi dopo un torneo particolarmente impegnativo ».
Pianse, pianse, pianse.
Poi starnutì, sollevo la mano, e si pulì con la
manica della giacca acquistata in saldo l’anno prima nel reparto uomini della
Standa a Rocca Spigolosa.
Qualche minuto dopo una mosca andò a posarsi sul
naso di Pirlasconi.
Cadde a terra fulminata. Le compagne intonarono un
canto funebre e le innalzarono un monumento alla memoria.
Cosa aveva visto, sentito, odorato la povero
meschina per cadere a terra morta?
L’orrore… degno della follia di Chtullu.
Pirlasconi non era brutto, anzi. Aveva un viso
regolare con la fronte spaziosa e gli occhi ben distanziati; l’iride, di colore
itterico, era ben proporzionata. Il naso era piuttosto lungo, bianco e
scivoloso: veniva usato dal V Stormo Bombardieri Zanzare durante l’estate come
pista di decollo, proprio grazie alla sua proprietà peculiare: l’untuosità che
diminuiva l’attrito in fase di spinta.
La bocca, purché rimanesse chiusa, non aveva
nessun tratto caratteristico - eccetto per un foruncolo sempiterno sull’angolo
inferiore destro.
Aperta, be’, le cose cambiavano.
Aveva un dente sì e uno no (sembrava un cruciverba
del Bartezzaghi, oppure, come i suoi amici dell’oratorio parrocchiale dicevano,
l’anta di una persiana maltrattata dalla grandine e sbattuta dal vento); il
fiato era classificato come arma di distruzione di massa. Una leggenda popolare
dava per certa un’invasione da parte dell’esercito americano di Giorgino Bush,
qualora Pirlasconi non avesse permesso l’invio di commissari dell’Onu.
Impossibilito a trovarne, Bush, optò per la guerra in Iraq. Pirlasconi era alto
un metro e cinquantacinque, e possedeva con un fisico asciutto. Troppo. Pirlasconi
stava a Fassino come la terra stava al sole. Aveva dei lunghi capelli neri -
non suoi, rubati ai tempi della Milano da Bere si socialistiana memoria - d’un nero pelo di topo, veicolo di peste
bubbonica (Pirlasconi ne era immune); per mantenerne l’untuosità e l’opacità,
il buon Giuseppe usava un prodotto introvabile nei supermercati nazionali:
balsamo di scarabeo stercororaro, made in Egypt.
Aveva la pelle porosa, bianca e perennemente
grassa. Sudava spesso come un maiale; lo stesso tipo, qualità e quantità, che
il porco avrebbe secreto se avesse visto un BBQ sul prato dietro casa.
Da bambino Pirlasconi venne morso dal cane dei
vicini e, preoccupatissimi, questi, lo portarono seduta stante a fare
un’iniezione antirabbica. Il veterinario calmò i padroni del cane,
assicurandoli che il cane non aveva contratto nessuna infezione. Pirlasconi,
però, rischiò di essere abbattuto con un colpo di fucile sul cortile di casa
dalla guardia comunale.
Nessun commento:
Posta un commento